PATAGONIAN SAMSON - Guardiani Italiani

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Jubo Bolzon è nato nel 1824 a Gwato, in Nigeria, dove è cresciuto. Pur non avendo mai conosciuto il padre, morto l’anno prima della sua nascita, Jubo ne ha ereditato il cognome originale e ha imparato a conoscerlo dagli straordinari racconti della madre. Suo padre era “l’italiano più famoso del mondo”, Giovanni Battista Belzoni, esploratore, ingegnere e pioniere dell'archeologia che, proprio nell’anno  in cui poi sarebbe morto, conobbe sua madre. Nel poco tempo che passarono insieme, egli le aveva raccontato molte delle avventure che aveva vissuto, la più incredibile delle quali riguardava un oggetto mistico di cui l'avventuriero era entrato in possesso.
Belzoni si recò al Cairo per la prima volta nel 1815, per mostrare a Muhammad ʿAli Pascià le sue invenzioni idrauliche per la gestione delle acque del Nilo. Qui conobbe il console britannico al Cairo, Henry Salt, che lo prese al proprio servizio per recuperare dal tempio di Ramesseum il cosiddetto Giovane Memnone, un colossale busto in pietra pesante oltre sette tonnellate ed alto più di due metri e mezzo, dal nome di un mitologico re etiope (ma che si scoprì in seguito raffigurare il faraone Ramses II), per trasportarlo al British Museum di Londra. Fino a quel momento, pur essendo affascinato dall'archeologia fin dall'adolescenza, l’avventuriero non poteva certo definirsi un archeologo, ma la vicinanza diretta agli scavi e le notti passate nel tempio avevano acutizzato in lui la passione per la materia. Fu così che, in attesa che arrivasse la nave per il trasporto del colosso in Inghilterra, Belzoni partì alla ricerca di diversi siti archeologici fino ad arrivare a scoprire la sua prima tomba, che verrà in seguito codificata con la sigla KV23, quella del faraone Ay, su cui incise in inglese: "scoperta da Belzoni-1816". Fu in questo frangente che, all'interno del tempio, venne in possesso dell'oggetto, attraverso quella che poi raccontò alla madre di Jubo come un'esperienza mistica, dandole il compito di donarlo al figlio, una volta che questi avesse raggiunto la maturità. E così che la donna fece. Il mistico oggetto è un Kopis, una spada usata dalle popolazioni della Grecia antica, ma che porta incastonato nel manico un magico talismano egizio, un amuleto dalla foggia pregiata raffigurante uno scarabeo. Da quel giorno il giovane Jubo non si era mai separato dall'arma, tenendola sempre accanto a sé, perché era uno dei pochi oggetti di valore che gli rimanevano in eredità dal padre che non aveva mai conosciuto.  
Passarono gli anni, sua madre venne a mancare, ma Jubo continuò a vivere nel suo villaggio, svolgendo diversi lavori pesanti grazie alla possente forma fisica ereditata dal padre e dalle forze che sembravano non abbandonarlo, nonostante avesse passato la cinquantina. Fu in quel periodo che, una sera, venne contattato da un misterioso gruppo formato da quattro donne,  su una strada illuminata dalla luna piena, nella periferia di Lagos, dove il giovane si trovava per svolgere un lavoro. Si presentarono con il nome  di "Tempio di Luxor" e una delle quattro, che sembrava essere il capo, gli rivelò ulteriori aneddoti sulla vita del padre, ma, soprattutto, gli spiegò il motivo per cui, nonostante avesse già diversi anni, il suo aspetto restava quello di un ragazzo sui vent'anni. Ciò era possibile grazie al "kheper", questo il nome del talismano incastonato sull'arma, che dona uno straordinario potere e una incredibile longevità a chi lo possiede. Il gruppo sposava il culto delle sacerdotesse di Amon-Ra, incaricate di guidare chi aveva il privilegio di entrare in possesso dell'antico potere legato al kheper donato dal dio Amon-Ra.  La donna spiegò a Jubo che il “Temipo di Luxor” fu fondato nel 1870,  un anno prima della sua morte, da Sarah Banne, che era stata la moglie di Belzoni e che lo aveva accompagnato in quasi tutte le sue avventure. Nello scoprire che la propria  madre non era stata l'unico amore del padre, Jubo rimase piuttosto male. La sacerdotessa continuò il suo racconto, spiegandogli che ora sapevano che Belzoni, nel 1823, tornò in Africa da solo per motivi di forza maggiore e per una misteriosa missione, deciso a raggiungere Timbuctù dal sud, navigando da Gibilterra fino alla costa equatoriale del golfo del Benin, per poi recarsi via terra nella capitale dell'antico regno del Benin e chiedere al locale sovrano i permessi e un'imbarcazione per risalire il fiume fino alle sorgenti del Niger. Ma, poco dopo essere sbarcato in Africa, morì di dissenteria il 3 dicembre del 1823 nel porto fluviale di Gwato. Fu nei giorni precedenti alla sua morte che l'esploratore avventuriero conobbe la madre di Jubo.  Affascinata dalle incredibili storie legate alle sue avvenute, la donna, che iniziava a nutrire profonda ammirazione e rispetto per quell'uomo, acconsentì a stringere un patto con lui. Decise di dare credito alla strana richiesta sulla possibilità di utilizzare il potere magico dell'amuleto kheper, di cui ora anche lei era a conoscenza, per ottenere il miracolo della vita e portare in grembo il bambino che Giovanni Belzoni e Sarah Banne non avevano potuto avere. Il loro amore, infatti, superava le distanze e gli anni e Giovanni ora sapeva  come poter utilizzare un potere superiore per dare vita al frutto del loro amore. La madre di Jubo rimase molto colpita, anche perché, proprio come Sarah, anche lei non poteva avere figli. Ma l’avventuriero chiese di avere fede e lei finì per acconsentire a quella richiesta. A questo punto Jubo si sentì in imbarazzo e scosso da quelle parole, ma la sua interlocutrice gli chiarì meglio la faccenda. Giovanni Belzoni  non sarebbe mai andato con un'altra donna, amava troppo la sua Sarah per poterlo anche solo pensare. Fu proprio la stessa Sarah a raccontarle quella storia, ovvero che una luce aveva avvolto l'abitazione in cui si trovavano il sofferente Giovanni e la madre di Judo. Pur non conoscendo i dettagli, la vicenda trovò conferma successivamente in nuovi elementi emersi dalle ricerche, con rinvenute testimonianze e resoconti dei locali che avevano assistito a quell’insolito evento nel porto di Gwato.  Fu un miracolo, un potere superiore aveva posto nel ventre di un’altra donna il frutto dell'unione di un amore che presto sarebbe stato diviso dalla morte. Jubo aveva così ereditato i geni di suo padre e sua madre, uniti a quelli di Sarah Banne.  La sacerdotessa continuò il suo racconto spiegando a Jubo che Sarah, che era stata testimone a distanza di quel miracolo e consapevole di averne preso parte, pur non conoscendo l'ubicazione esatta in cui avvenne, cercò di mettersi in contatto con sua madre, senza però riuscirvi. Pagò infatti degli investigatori, per cercare di ritrovarla, ma le tracce di Belzoni erano confuse e si perdevano dopo che questi, nel 1823, diretto dapprima in Marocco, da dove pensava di attraversare il deserto per arrivare a Timbuctù, raggiunse Fez per poi tornare sui suoi passi. Sarah, nonostante il fatto che le ricerche fatte per ritrovare Jubo negli anni non avevano portato a niente, malata e sapendo di essere anche lei prossima alla fine, aveva istituito il gruppo di donne “ Tempio di Luxor” per continuare la sua missione nella ricerca di suo figlio. A quelle parole Jubo si sentì strano. Il pensiero che una donna che non aveva mai conosciuto, per via di un  miracolo legato al potere di una divinità egizia, potesse essere una sorta di seconda madre naturale, lo infastidiva. Eppure, doveva pur ammettere che, nel profondo, sentiva di provare un attaccamento verso quella figura materna che sembrava volerlo proteggere attraverso gli anni spesi in ricerche… ammesso che tutta quella storia fosse vera. Una prova, però, poteva essere il suo aspetto fisico. In effetti, tutti i suoi coetanei erano invecchiati, mentre lui sembrava ancora davvero molto giovane. E poi c'era quell'oggetto, la spada Kopis che portava incastonato quell'amuleto egizio. Doveva ammettere che quando lo stringeva nella mano poteva avvertirne il potere. Non era semplice suggestione, aveva già usato quell'arma strepitosa per andare a caccia, quando si era spinto molte volte, guidato da un'irrefrenabile voglia d'avventura, verso i luoghi più selvaggi delle sue terre e ne conosceva le incredibili prestazioni. Jubo si rivolse quindi alla donna alla donna dicendo:
«Sapete, è difficile credere a questa storia, ma sento che è tutto vero... e poi, anche se ci sono rimasto un po' male che mia madre e mio padre non stavano davvero insieme, provo anche gratitudine per il fatto che lei possa avere avuto la possibilità di avere me, di avere un figlio. Sento, però, che c'è dell'altro! Non siete arrivate da me solo per raccontarmi le mie vere origini.»
A queste parole la donna capì che l'amuleto stava agendo in favore di Jubo per portarlo a scoprire il suo legame con il potere del kheper, e il suo destino, e decise quindi di scoprire le carte.
«Sì... sappi che tuo padre non morì davvero per dissenteria, ma per via di una ferita riportata in seguito a uno scontro avvenuto con un emissario di una potente organizzazione che da secoli si occupa di ricercare e trafugare reperti archeologici legati a poteri mistici, non certo per scopi benefici . Tuttavia, Belzoni riuscì a fuggire e a mettere in salvo il kheper nelle mani di tua madre, per poi lasciarlo in eredità a te. Questa organizzazione si chiama Megalith e tuo padre ne fu alle dipendenze, inconsapevole, nel periodo in cui prestò servizio per Henry Salt. Quando tuo padre comprese che Salt ne faceva parte, si ribellò, di fatto iniziando una battaglia contro  l'organizzazione a cui questi apparteneva.»
«E questa organizzazione, questa Megalith, è ora sulle mie tracce?»
«Non lo crediamo possibile visto che sono passati ormai molti anni, ma, diciamo che, presto, sapranno della tua esistenza e del fatto che possiedi il potere del kheper!»
«Come è possibile che lo scoprano proprio a breve se non lo hanno scoperto per anni?»
«E' semplice, presto tu gli metterai i bastoni tra le ruote!»
«Che dovrei fare io?»
«Jubo Bolzon, questo è il tuo destino e, in fondo al cuore, ne sei consapevole. Hai sempre saputo che stare qui, passare da un lavoro di fatica ad un altro, non è cosa che ti appartiene, anche se hai ereditato la forma fisica imponente da tuo padre, sei in tutto uguale a lui. Ami l'avventura e l'esplorazione, proprio come lui. Sai, nei primi anni di vita, soprannominato Patagonian Samson, tuo padre si esibiva come circense in spettacoli itineranti, ma voleva essere ben altro! Belzoni aveva studiato archeologia e ingegneria a Roma, e tua madre... cioè, l'altra tua madre, Sarah, lo incoraggiò sicuramente a riprendere le sue aspirazioni e a diventare un esploratore. Allo stesso modo, Sarah, attraverso la missione che ci ha affidato, ha voluto ritrovarti e incoraggiare anche te. Ti ha amato per tanti anni, dandoti anche un nome. Per lei sei sempre stato il piccolo "Sam", come aveva pensato di chiamarti. Il suo più grande rammarico fu non aver potuto dirti di persona quanto ti abbia amato. Jubo Bolzon... Sam... prendi in mano la spada Kopis e dimmi se non ho ragione.»
A quelle parole il ragazzo afferrò l'arma che teneva in un fodero sotto la giacca e la guardò al chiaro della luna. L'amuleto raffigurante lo scarabeo brillò di una luce ancestrale illuminando gli occhi di Jubo.
«Okay, sento che è il mio destino. Seguirò le orme di mio padre... Giovanni Battista Belzoni.»


 
PRESENTE
A quasi 200 anni, Jubo “Sam” Bolzon vaga ancora per il mondo combattendo la battaglia che costò la vita al padre. Con il soprannome di PATAGONIAN SAMSON, appellativo un tempo appartenuto proprio a suo padre, Giovanni Battista Belzoni, Jubo combatte contro la potente Megalith, l'organizzazione criminale che si occupa di ricercare e trafugare reperti archeologici legati a poteri mistici per fini malvagi.
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