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PERSONAGGI > I GUARDIANI

C’ERA UNA VOLTA IN MAREMMA...
"Fu il più famoso brigante maremmano, divenuto una leggenda come difensore degli oppressi e protettore della giustizia, anche contro la legge dello Stato...
Alla sua morte, per volere del prete, il suo corpo fu seppellito "mezzo dentro e mezzo fuori dal cimitero", sotto la cinta muraria, con le gambe all’interno del camposanto e la parte superiore, dove risiedono il cuore con l'anima, macchiata di sangue, all'esterno...
I butteri narrano che un giorno il libeccio riporterà in vita il suo spirito dal limbo dei dannati..."

Domenico Tiburzi spalanca gli occhi nel momento in cui il coperchio della bara esplode verso il cielo in una nuvola di terra e polvere. Nel tramonto rosso fuoco, il suono dei lugubri rintocchi della campana a morto che l'hanno risvegliato sono ancora udibili trasportati dal forte vento del libeccio. L'uomo si alza in piedi, di nuovo, dopo più di 120 anni. Ancora ricorda l'ultimo istante di vita, quando i carabinieri, durante la sparatoria, lo trivellarono di colpi alle gambe e al torace. I vestiti gli vanno un po' larghi e gli basta allargare la camicia per vedere i segni dei proiettili ancora visibili sul petto, sebbene non ci sia più alcuna ferita. Domenico nota anche che ora è più magro e non ci mette molto a capire che, resuscitando, è ringiovanito. Come minimo si sente addosso 35 anni in meno.
Esce dal sepolcro appoggiandosi a una colonna e una volta fuori nota una figura scura, incappucciata, che, in piedi, lo osserva da poco distante. Nello stesso istante in cui Domenico comprende chi sia quella figura, gli è subito chiaro anche il motivo per cui è resuscitato:
«Grazie, ci hai messo un po', ma meglio tardi che mai! Ora, però, ho bisogno di un vestito nuovo e delle mie armi...»
La figura resta in silenzio, ma l'uomo ha già la risposta alle sue domande e senza altro indugio esce dal cimitero dirigendosi nel folto di un bosco. Domenico sa che non deve far altro che seguire la direzione del vento...
Dopo qualche ora giunge nei pressi di un maneggio e, con il favore del buio, penetra nella proprietà impadronendosi di ciò di cui ha bisogno. E' abituato a rubare e a farlo senza farsi scoprire. Trova facilmente dei vestiti che gli vanno bene e, memore del suo passato di guardiano delle mandrie, di buttero, prende con sé anche la “mazzarella”, il tipico bastone necessario per lavorare quotidianamente con buoi e cavalli. Poco dopo, l'uomo è in sella a un cavallo maremmano, un destriero che Domenico conosce bene e di cui, da giovane, aveva imparato ad apprezzarne le qualità: arti solidi, unghie molto forti, garrese robusto. Un cavallo incredibilmente resistente alla fame, alla sete e alle intemperie.
Il vento del libeccio si alza nuovamente e l'uomo parte per la sua prossima destinazione.
Sei ore dopo, il resuscitato arriva di fronte al Museo del brigantaggio di Cellere, il paese in cui è nato, più di 180 anni fa. Non è difficile penetrare nell'edificio e trovare ciò che cerca. Quando sale al secondo piano, Domenico si immobilizza di fronte alla sua prima ed unica foto che lo ritrae appoggiato a una colonna. Riconosce subito quella colonna, è la stessa del cimitero in cui era sepolto. Domenico comprende subito. Sa di non essere mai stato fotografato, almeno, non da vivo. Un amaro sorriso gli increspa le ruvide labbra:
«Tsk! Quei figli di puttana mi hanno fotografato da morto, messo in piedi come fossi uno stoccafisso!»
Un attimo dopo, Domenico recupera il suo fucile, due rivoltelle, cartucce, cinturone e un coltello, ma quando esce dal museo, due uomini in divisa, appostati all'esterno, gli intimano l'alt. Anche se le loro uniformi sono un po' diverse da quelle che ricorda, il resuscitato capisce di trovarsi di fronte ai carabinieri, di nuovo! Questa volta, però, Tiburzi non ha tempo da dedicare agli uomini di legge e estrae la pistola senza sparare. La reazione che si aspetta non tarda ad arrivare. L'uomo viene crivellato di colpi all'istante finendo contro il portone dell’edificio. Barcolla, ma non cade e, con voce strozzata, si rivolge agli uomini in divisa:
«Ci state prendendo gusto a riempirmi di piombo, eh?!»
Di fronte ai carabinieri increduli, il bandito, incolume, raggiunge il suo cavallo. Prima di ripartire si volta verso di loro:
«Non inseguitemi! Sono sulla pista di una banda di miserabili... provate anche solo a capitarmi ancora di fronte e finirete anche voi sulla lista dei bastardi che devo spedire all'inferno!»
Il vento del libeccio si alza di nuovo. L'uomo afferra la bandanas annodata al collo e se la calca sul volto per proteggersi dalla polvere. Un attimo dopo già cavalca al levare del sole. Sa che seguendo il vento troverà ciò che cerca... la giustizia che grida vendetta si compirà.
Ancora non sa perché la morte gli ha offerto quella seconda possibilità. Forse per via della vicenda legata alla sua sepoltura, quando, al parroco di Capalbio che si rifiutò di officiare un regolare funerale per il criminale senza Dio, si oppose la comunità. Il popolo esigeva per lui, per il paladino dei diritti dei più deboli, chiamato da tutti "Domenichino", un’onorata sepoltura in terreno consacrato. Si arrivò quindi ad un compromesso: il suo corpo venne sepolto in terra consacrata, ma solo per metà. L’altra metà restò fuori: gli arti inferiori dentro il camposanto, come vuole la tradizione, mentre la parte impura, testa, cuore, e dunque l’anima, rimasero fuori. No, Domenico non sa se l'insolita sepoltura sia stato il motivo che gli ha permesso di uscire dalla bara... sui dettagli della sua resurrezione la morte era stata di poche parole. Tutto ciò che gli basta sapere, però, è che ora può regolare il conto con la resuscitata "banda Grossi", per l'innominabile crimine che il gruppo ha commesso nel passato. Un crimine per cui la punizione della legge, che li aveva giudicati, non basta. Ma il “Livellatore”, Re della Maremma, duro e spietato come un chiodo da bara, è pronto per sistemare la faccenda e lo farà secondo il suo personale concetto di giustizia.
Domenico Tiburzi è tornato... lui è "BANDITO", il Buttero Solitario!

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